La grafia di ogni dialetto presenta sempre una grande quantità di problemi.
Già Leopardi ricordava nel suo Zibaldone che "...al bolognese [al dialetto bolognese] bisognerebbe un alfabeto di 40 o 50 o più segni".
La lingua italiana ha avuto una sua storia particolarissima: per secoli è stata una lingua utilizzata prevalentemente nella scrittura e poco parlata. Questo fatto ha determinato una sostanziale assenza di uno standard sul piano fonetico, riflettendosi di conseguenza sul piano della grafia; quest’ultima, per quanto elaborata possa essere, non potrà mai rendere tutte le opposizioni fonetiche.
Si dice che l’italiano sia una lingua che si legge come si scrive, ma non è del tutto vero. È però vero che il nostro sistema ortografico è meno distante dalla pronuncia rispetto a quella di altre lingue.
Nel dialetto, invece, i foni (i suoni) sono notevolmente diversi dalle grafie delle rispettive parole.
Inoltre, tra gli elementi che caratterizzano la differenziazione tra un dialetto e l’altro (anche all’interno di una stessa regione) vi è senza dubbio la cadenza, la “cantilena”, l’accento. Questo sul piano fonetico; su quello grafico però non possono esistere grandi distinzioni tra i vari gradi di apertura delle vocali medie toniche ( é / è, ó / ò, ecc.) e la sonorità di certe consonanti ( s / ṡ ; z / ż ).
In questa ricerca i segni diacritici, cioè i segni grafici atti a distin-guere negli alfabeti fonetici i vari suoni, saranno ridotti all’essenziale, anche perché, pur facendone largo uso, si finirebbe ugualmente per raggiungere un risultato inadeguato.